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L’Inps si può guidare con criterio manageriale

Ho sempre considerato il Reddito di cittadinanza una norma assistenziale iniqua e politicizzata. Ma più che inneggiare alla fine del provvedimento – o almeno alla sua generosa erogazione – mi sembra utile considerare il tema delle responsabilità. Tommaso Foti, presidente del gruppo parlamentare di Fdi, poche settimane fa ha proposto di istituire – a proposito del Reddito di cittadinanza – una commissione d’inchiesta, “limitando la responsabilità a Pasquale Tridico per non avere consapevolmente attivato i controlli, al fine di non far perdere consenso elettorale e personale ai suoi mandanti”.

Un processo contro l’ex presidente dell’Inps mi sembra un atto sconsiderato. Intendiamoci, la gestione dell’Inps da parte di Tridico è ciò che è più lontano dalla mia sensibilità personale e professionale. Nelle sue scelte ho visto una politicizzazione dell’Istituto che ho sempre voluto contrastare negli anni in cui ho avuto l’onore di servire il Paese da presidente e commissario dell’Inps. Ho sempre creduto che si potesse guidare il più grande ente pubblico nella logica della managerialità che non ha colore politico, ma che ha solo l’obiettivo della qualità del servizio e dell’efficienza amministrativa. Un grande ente pubblico avrebbe il diritto di essere governato con il rigore con cui si gestisce una grande azienda privata. D’altronde l’Inps è la più grande azienda di servizi, non solo d’Italia, ma d’Europa. Ha sempre avuto bisogno di oculatezza, competenza e rigore.

Per troppi anni l’Istituto è stato preda di clientele politiche e sindacali. Nel corso del mio mandato mi vanto di avere combattuto questa deriva (e forse anche per questo sono stato accompagnato all’uscita), che però ho rivisto fiorire negli anni pentastellati di Tridico. Ma pensare di personalizzare le responsabilità di scelte amministrative opinabili e costose per il bilancio pubblico credo che sia una scorciatoia da evitare.

L’Inps è una macchina complessa e “vigilata”. C’è un presidente di sezione della Corte dei Conti che vive quotidianamente nell’Istituto, con pieno e diretto accesso a tutti gli atti dell’ente. Ci sono due ministeri vigilanti (Mef e Lavoro). Non solo, il ministro del Lavoro, all’epoca Luigi Di Maio, oltre che vantarsi di avere imposto Tridico alla guida dell’Istituto, ebbe modo di celebrare la fine della povertà, proprio in coincidenza dell’approvazione del Reddito di cittadinanza. E oggi – con l’avallo de Governo Meloni – gode di un ruolo internazionale di spicco (e ben remunerato). Non è stato solo il “mandante politico” di Tridico, ma aveva la piena responsabilità di vigilanza sugli atti dell’Istituto, come ministro del Lavoro.

Ci sono i componenti del Consiglio di Amministrazione (tutti personaggi autorevoli e influenti nella politica e nelle relazioni personali e familiari), che risulta – parola di Tridico, mai smentita – abbiano approvato sempre tutto all’unanimità. Ci sono i sindaci. Ci sono i dirigenti, a partire dall’apice – il direttore generale è capo della Tecnostruttura – fino ai ruoli dei dirigenti generali che hanno responsabilità organizzative non delegabili (fino alla responsabilità erariale). E prima ancora ci sono tutti i responsabili politici che hanno promosso, deciso, e fatto applicare la norma che riguarda il Reddito di cittadinanza, che avrebbero potuto (e dovuto) verificare gli atti amministrativi conseguenti.

Vogliamo istituire una commissione d’inchiesta sul Reddito di cittadinanza? Ben venga. Credo che siano stati sprecati molti denari degli italiani, per una politica di welfare discutibile nell’ideazione e nella gestione, ma difficile credere che ci sia una sola responsabilità personale. Una commissione d’inchiesta dovrebbe avere un obiettivo largo, per indicare tutte le responsabilità di un grande danno erariale (se danno c’è stato).

Fonte: Espansione