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Gli statali, per vincere imparino a fare squadra

Gli statali, per vincere imparino a fare squadra

Per chi volesse prendersela con chi amministra Roma le occasioni non mancano mai. Una decina di giorni fa il cosiddetto “concorsone” – erano in 4500 per la sessione finale della selezione per un centinaio di posti di Funzionario Amministrativo al Comune di Roma – è stato annullato perché uno dei concorrenti ha rilevato un errore nel testo delle domande/risposte multiple. Non serve soffermarsi sulle ormai storiche buche nell’asfalto o sui lavori della linea C della metropolitana, fermi con cantieri mai chiusi. Non serve nemmeno sorridere amaro sul nome sbagliato dell’ex presidente Ciampi, trasformato in Azelio (Carlo Azelio, invece di Carlo Azeglio) sulla targa marmorea della via a lui dedicata.

Il repertorio fa da sempre la fortuna dei comici della Capitale e dell’Italia intera. Ma sarebbe sbagliato lasciare alla pubblica amministrazione di Roma l’esclusiva dei pasticci e del servizio inadeguato. La Regione Lombardia – solo per citare il contraltare frequente evocato a fronte del pressappochismo romano – ha collezionato drammatiche disfunzioni in tutto questo anno e mezzo di pandemia, culminando nella ridicola programmazione della campagna vaccinale, quando si è rischiato di buttare dosi del vaccino per l’incapacità di organizzarne la somministrazione.

Potremmo proseguire con le prove non impeccabili – sì, è un eufemismo – dell’Inps nell’erogazione del reddito di cittadinanza o nella distribuzione della cassa integrazione. Troppe e troppo numerose le pecche delle Pubbliche Amministrazioni, centrali e periferiche. Troppa improvvisazione, pochi controlli. Grave soprattutto proprio nel servizio della Pa. Ma saremmo ingiusti nel non rilevare che questo disordinato modo di procedere e di lavorare riguarda tutti. Pubblico e privato. Alcune delle recenti tragedie sul lavoro potrebbero essere imputabili alla stessa, aggravata, superficialità e inadeguatezza organizzativa e di controllo.

Una parola: sciatteria. Come ha ricordato qualche giorno fa il direttore di questo giornale, anche un magistrato ha giustificato una opinabile assoluzione – in una causa per diffamazione – invocando il “generale fenomeno di impoverimento del linguaggio e del costume”. E’ proprio questo generale impoverimento del costume, prima che del linguaggio, che ci fa leggere tweet sgrammaticati, pubblicati compulsivamente prima di una minima rilettura. Lo stesso impoverimento del costume si vede nel mancato uso dell’auricolare o del vivavoce quando si parla al telefono, guidando l’automobile.

Ancora di sciatteria, prima che di politica opinabile, credo che si possa parlare quando si ammette che il testo di un disegno di legge è scritto male – come ormai la maggior parte delle norme che dovrebbero regolare la vita del Paese – ma lo si vuole approvare lo stesso, così com’è per una questione di principio ideologico.

La moneta cattiva, si sa, scaccia da sempre la moneta buona. Il pessimo esempio vince su quello buono. Il degrado è uno scivolo da cui ci si sottrae a fatica. Possibile che non ci siano antidoti da utilizzare? Sarebbero certamente più urgenti nelle attività della Pubblica Amministrazione. Quando il servizio e la sua qualità ed efficienza sono il cuore stesso del lavoro la sciatteria è ancora più colpevole. Vogliamo parlare della qualità del servizio negli esercizi commerciali? Dal bar al ristorante al negozio di abbigliamento? Ancora di più è criticabile il servizio inadeguato se a pagare quella sciatteria ci sono i soldi di tutti gli italiani.

In queste serate estive ci stiamo aggrappando alle sorti della nostra Nazionale di calcio. Non sembri solo retorica parlarne qui. Oltre all’orgoglio del pallone potrebbe esserci una lezione per tutti. L’antidoto della sciatteria è la squadra. Riscoprirsi squadra. Dove tutti lavorano per il proprio ruolo, al meglio, con la consapevolezza che si deve sempre sostenere il compagno di squadra quando è in difficoltà. Correre, correre e voler vincere. Insieme. Così come insieme siamo diventati gli “undici” più appassionati nel canto dell’inno nazionale. C’è voluto tempo e sollecitazioni, ma l’inno è diventato un canto di orgoglio. Per tutti. Si può cambiare, riscoprendosi squadra e Nazione.

Fonte: Libero Economia