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Concertazione impossibile ai tempi dei social media

Gli anniversari sono sempre scivolosi. In questa settimana è stato ricordato quello del “patto Ciampi” del 23 luglio 1993. Trent’anni di concertazione. Una tappa importante nella storia recente del Paese, delle relazioni sindacali e della politica italiana. Un accordo in qualche modo figlio dei Trattati di Maastricht di un anno prima. In verità furono due i protocolli che cambiarono le relazioni sindacali e la politica dei redditi: il primo, siglato il 31 luglio 1992, abrogò la scala mobile; il secondo, firmato il 23 luglio 1993, si propose di fissare la crescita dei salari all’aumento della produzione e degli utili delle imprese. Per frenare l’inflazione, per contenere la spesa pubblica e per una maggiore competitività, una miglior crescita economica, un rafforzamento della base occupazionale.

Ma al di là della giusta celebrazione, qualcuno ha avuto il coraggio di chiosare: “Altri tempi, altri leader”. E altre rappresentanze politiche, sindacali e datoriali. Non si tratta solo di misurare la distanza tra Bruno Trentin e Maurizio Landini, o in generale tra i “sindacati dei lavoratori” e gli odierni “sindacati dei pensionati”, oppure tra la Confindustria di Abete e quella di Bonomi, ormai interprete dell’imprenditoria di Stato più che di quella privata.

È cambiato il mondo, è cambiata l’Europa e le sue intoccabili indicazioni, che spesso si sono rivelate inadeguate, o come Maastricht addirittura forzate. È ancora il tempo della concertazione? Nel mondo dei social ha senso rilanciare un luogo della mediazione alta e condivisa da tutti?

E poi sono cambiati i tempi e le logiche della politica e della politica sindacale. Se Bruno Trentin avesse dovuto misurare i “like” alla sua adesione al patto di un anno prima, che cancellava la scala mobile, avrebbe firmato lo stesso? Io credo di sì, perché penso che la statura dei leader si veda ben oltre i loro tempi. E ben oltre i propri momentanei sostenitori. Così come non credo che l’allora leader della Cgil avrebbe mai annunciato uno sciopero nazionale “preventivo” (o premonitore, come ha scritto il direttore Alessandro Sallusti), prima di conoscere l’oggetto della sua eventuale protesta.

Così come non credo che Confindustria e i sindacati di allora – e forse nemmeno il Governo di allora – avrebbero speso tanto tempo e tante energie per individuare la temperatura limite per far scattare la cassa integrazione automatica in caso di caldo eccessivo.

La concertazione aveva obiettivi e metodi “alti”. E aveva leader “alti”, meno inclini all’armocromia e più usi alla economia politica e alla finanza pubblica. La più importante esperienza di concertazione conosciuta in Italia offrì – come Ciampi scrisse, con il Protocollo del luglio 1993 – “al Paese un elemento di unità e di coesione in un momento in cui le forze centrifughe erano forti, nella politica, nella società”. Anche oggi le forze centrifughe non mancano. E per certi versi l’obiettivo di unità e coesione è più importante di allora, ma oggi deve essere perseguito e costruito con l’aspirazione a un nuovo patto sociale.

Oggi chi potrebbe fare telefonate da Palazzo Chigi ai rappresentanti sindacali e al leader di Confindustria, contando di poter avere un’attenzione e una dedizione come quella che si ritrovava Carlo Azeglio Ciampi? Il problema non è l’autorevolezza (vera o presunta) del premier, bensì la consapevolezza di “dover” costruire tutti insieme il futuro del Paese, nella distinzione dei ruoli, in base al consenso raccolto. Questo sentimento c’era nel 1993. Oggi sembrano ancora prevalere le divisioni, i pregiudizi, le acrimonie, che nascondono pensieri liquidi (capaci di contraddirsi in 24 ore), tutti orientati a raccogliere follower nei social media, e mai rivolti alla solidità di un domani da preparare insieme.

Fonte: Libero Economia