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Assuefatti all’ingiustizia Ritardi nei risarcimenti

Assuefatti all'ingiustizia Ritardi nei risarcimenti

Vittorio Feltri lo ha scritto, commentando l’ultimo libro di Alessandro Sallusti e Luca Palamara (“Lobby&Logge”, seguito un anno dopo l’uscita de “Il Sistema”): siamo assuefatti all’ingiustizia. Forse, purtroppo, ha ragione. Poche settimane fa le cronache si sono occupate di Massimiliano Prosperi, che da un anno è in attesa della liquidazione del danno per 132 giorni di “ingiusta detenzione” (accusato di omicidio e poi pienamente scagionato e assolto), in esecuzione di una sentenza inappellabile, peraltro valorizzata in soli 40mila euro: 300 euro al giorno che dovrebbero comprendere il danno reputazionale, il danno biologico ed esistenziale e l’inibizione della vita economica precedente. Prosperi era un imprenditore, oggi si arrangia con qualche lavoretto precario.

Solo nel biennio 2019/2020 le ordinanze di riparazione per ingiusta detenzione sono state 1.750 (comunque la punta di un iceberg di provvedimenti di limitazione della libertà assunti con leggerezza irresponsabile), con un esborso per lo Stato di oltre 80 milioni di euro. Poco più della metà della somma – 46 milioni – riguarda il danno per le ingiuste detenzioni e per gli errori giudiziari consumati nel 2020. Persone arrestate per sbaglio, innocenti costretti a subire limitazioni della libertà. Lo ha rammentato in una nota Enrico Costa, deputato e responsabile Giustizia di Azione: “Dal 1992 al 31 dicembre 2020 le persone indennizzate sono state circa 30.000, per un totale di 870 milioni di euro. A pagare è solo lo Stato: chi ha sbagliato continua indisturbato la sua carriera”. Nonostante ci sia la legge Vassalli, i magistrati non pagano quasi mai. Le loro responsabilità – a fronte di errori clamorosi e derivanti spesso da negligenza o superficialità – non comportano mai una penalizzazione.

Negli ultimi due anni, a fronte di questi provvedimenti ingiusti che lo Stato ha riconosciuto come tali, sono state promosse solo 45 azioni disciplinari contro i magistrati, senza che sia stata pronunciata dal Csm una sola censura. Finora, insomma, per 1.750 errori conclamati, 283 dei quali non più impugnabili, non c’è stato nessun ammonimento: per trovarne traccia tocca risalire al 2018, anno in cui a fronte di 509 indennizzi per ingiusta detenzione riconosciuti sono stati sottoposti ad azione disciplinare 16 magistrati, quattro dei quali censurati.

Ben venga quindi la riforma del Csm, invocata da Sergio Mattarella, al momento del suo discorso in occasione del suo secondo incarico come Capo dello Stato. Senza dimenticare che il Presidente della Repubblica presiede il Csm e potrebbe esercitare il peso del suo ruolo nel corso della vita ordinaria dell’organismo. Augurarsi che il Csm superi “le logiche di appartenenza” è persino troppo poco per chi lo presiede. Il Capo dello Stato è il vertice della Magistratura e secondo la Costituzione presiede l’organo di amministrazione della giurisdizione. Il vicepresidente “sostituisce il presidente in caso di assenza e impedimento ed esercita le funzioni che il presidente gli delega”. Come dire: il presidente presiede come e quando vuole la vita del Csm, anche nella predisposizione di indagini e nel comminare ammonizioni.

Un anno fa 67 magistrati inviarono a Mattarella una lettera-appello: le iniziative legislative di riforma del Csm auspicate dal presidente della Repubblica quando nel 2019 scoppiò il caso Palamara, “e annunciate come imminenti, sono ben lungi dal tradursi in realtà”. Ora più di allora. Nonostante il nuovo auspicio presidenziale davanti al Parlamento.

La riforma della Giustizia che interessa ai cittadini non riguarda la semplice gestione delle carriere e il freno agli ammonimenti, ma la certezza che ad amministrare uno dei servizi pubblici cardine della società civile, ci siano persone responsabili, cioè in grado di rispondere dei ritardi, degli errori e delle omissioni che rendono la giustizia italiana un ingiusto onere alla crescita civile, sociale ed economica del Paese.

Fonte: Espansione