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Altro che sburocratizzazione. Il flop dell’apprendistato

Altro che sburocratizzazione Il flop dell'apprendistato

Secondo Adapt, l’associazione di studi e ricerche sul lavoro fondata da Marco Biagi, chi vuole riformare l’apprendistato si prefigge l’obiettivo di sconfiggere i tirocini, ma soprattutto di affossare l’apprendistato stesso. Quindi di aggiungere rigidità a un mercato del lavoro ingessato da anni. Non è la prima volta che la materia dell’apprendistato è oggetto di attenzioni riformatrici. In poco meno di vent’anni l’istituto è stato oggetto di decine di interventi legislativi. Quello che ha mosso i suoi primi passi in Parlamento pochi giorni fa deriva dalla proposta di legge 2902 sostenuta dall’eterogenea pattuglia di quella che potremmo definire la “sinistra al governo”: Pd, Iv, Leu e M5S. “La proposta di legge – si legge nel Bollettino Adapt – sembra riproporre, sia nella sua logica di insieme che nelle singole disposizioni, i vecchi vizi dell’apprendistato italiano che, come è noto, non è mai decollato e non ha mai raggiunto gli standard comunitari”.

Nel 2021, ultimo dato disponibile dell’osservatorio Precariato Inps, le nuove assunzioni in apprendistato sono state 314.628. In calo rispetto al periodo pre-Covid: nel 2018 gli apprendisti erano 366.466. Tra nuovi e vecchi rapporti ci sono meno di mezzo milione di apprendisti in Italia.

L’apprendistato avrebbe dovuto essere il canale di ingresso dei giovani nel mercato del lavoro; uno strumento per sua natura flessibile, per contrastare i vincoli che da sempre gravano sul mercato del lavoro. E invece di alleggerire questi pesi, ecco che la parte della maggioranza di governo che si raccoglie intorno ai partiti di sinistra, si prefigge di aggiungerne.

A esempio propone che, in caso di recesso anticipato dopo un anno di contratto, il datore di lavoro dovrà restituire l’80% dello “sgravio” utilizzato. Un modo per scoraggiare le imprese ad assumere apprendisti. Anche l’idea di far salire le soglie di applicazione delle “clausole di stabilizzazione” (la possibilità di assumere nuovi apprendisti solo a patto di confermarne una quota) dall’attuale 20 al 33%, ed estendere tale clausola anche alle imprese con almeno 15 dipendenti (finora la soglia dimensionale è fissata ad almeno 50 dipendenti) finirebbe solo per scoraggiare i datori di lavoro nell’assumere apprendisti.

Non solo. L’idea di introdurre una “piattaforma dell’apprendistato” gestita da Anpal, “pare andare nella direzione contraria di quella sburocratizzazione dello strumento che tanto la letteratura quanto le stesse dichiarazioni contenute nella relazione illustrativa invocano” (sempre dal Bollettino Adapt).

Aspettando le tanto attese – e mai viste – politiche attive per il lavoro, la maggioranza di Governo (o almeno una sua parte cospicua) sembra intenta ad aggiungere lacci alla libertà di impresa e di mercato. In piena coerenza – anche se in quel caso i frenatori sono di parte politica contraria – con i freni contro le liberalizzazioni delle licenze balneari, a proposito di anti-concorrenza.

Sembra che il nostro Paese abbia una consolidata esperienza di percorso contro vento. Contro il vento del mercato e dell’Europa che ci chiede più mercato, più liberalizzazioni, più libertà. Anche di impresa. La flessibilità è un dato incontrovertibile in ogni Paese occidentale. Tranne che in Italia, secondo una linea rossa che si è costruita sull’ideologia dell’articolo 18 (dalla Cgil al Pd), e sulla favola degli “imprenditori prenditori” (secondo la vulgata di Grillo e Di Maio). Le grandi riforme del Paese avrebbero dovuto segnare lo scorcio di questa fine legislatura. Era l’unico scambio sensato per giustificare il mancato scioglimento delle Camere. Ma è andata diversamente.

Fonte: Libero Economia