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Il successo di un governo dipende dagli uffici tecnici

Fatto il Governo, non resta che governare. Molta attenzione, come sempre, è stata data alla compagine dei ministri, poi a quella dei sottosegretari e infine a quella dei “mandarini”: capi di gabinetto e capi del legislativo dei diversi ministeri. C’è anche chi ha chiosato su una sconfitta del Consiglio di Stato, dalle cui fila abitualmente i Governi di tutte le legislature hanno attinto magistrati fuori ruolo in aspettativa/distacco. Questa volta ci sono meno giuristi e più accademici? Può darsi. Lo aveva auspicato anche Sabino Cassese, che in verità si augurava una massiccia immissione di figure più variegate, capaci di rifondare una nuova schiera di “legisti”. Cassese aveva vaticinato l’opportunità di poter immettere nei processi legislativi “qualche ingegnere, qualche matematico e qualche filosofo” per far sentire “la voce di culture diverse”.

Basta con lo strapotere dei giuristi. Consiglio di Stato e Ragioneria generale dello Stato, da sempre controllori dello Stato, secondo Cassese hanno ormai mostrato qualche carenza. “Anche i guardiani dello Stato invecchiano e non riescono più a stare al passo con i tempi. Anche persone singolarmente molto capaci non sempre si dimostrano all’altezza dei compiti richiesti ai grandi corpi dello Stato”, scriveva sempre Cassese qualche settimana fa.

Tutto vero. Tutto condivisibile, necessario forse, ma non sufficiente. La misura dell’efficienza e dell’efficacia della nuova compagine di Governo, oltre ai ministri, ai sottosegretari e ai capi di gabinetto sarà data dalla struttura dei collaboratori, dei consiglieri, di quel gruppo di lavoro che va sotto l’etichetta di “ufficio di diretta collaborazione” del ministro.

I ministri “competenti” non è detto che siano i ministri “migliori”. Non può essere obbligatorio avere un medico per il ministero della Salute o un poliziotto per il ministero degli Interni. E nemmeno un diplomatico di lungo corso per la Farnesina. Servono ministri (e sottosegretari) che diano chiari e forti indirizzi politici e si dotino di una struttura amministrativa coadiuvata da una chiara struttura di competenze professionali, accademiche e sociali.

Il rischio di molti politici che accedono al vertice ministeriale è quello di farsi “inghiottire” nelle procedure guidate dalla macchina burocratica. E in questi casi i capi di gabinetto e/o i segretari generali dei ministeri finiscono per diventare i veri ministri. Non per l’invadenza del burocrate, ma per la latitanza del politico. Negli ultimissimi anni si è vista nascere l’abitudine di utilizzare l’Ufficio di diretta collaborazione per pagarsi la squadra di comunicazione più o meno arrembante. 

La Corte dei Conti è chiamata a vigilare sulla congruità degli incarichi, degli incaricati e del loro compenso. Era lecito mettere a piè di ista del Ministero degli Interni il gruppo della cosiddetta “bestia” di Salvini – quella colorita squadra di comunicatori, per lo più social e web – che ha segnato il tam tam leghista negli anni d’oro del Viminale e del Governo giallo-verde? O aveva motivo di essere inserito nell’Ufficio di diretta collaborazione il fotografo di fiducia di Di Maio?

Fonte: Libero Economia