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Smart working e Pa, 5 ragioni per tornare in ufficio. Il punto di Mastrapasqua

Il pubblico impiego dovrebbe tornare al lavoro in ufficio. Non perché così suggeriscono molte grandi organizzazioni private, non perché così si esprimono molti lavoratori stanchi di trascinarsi tra la cucina e il salotto di casa, mentre la retorica di pochissimi colletti bianchi favoleggia di lavoro smaltito in libertà sulla spiaggia di Malibu o delle Canarie. Ma per almeno cinque buone ragioni

Prima che la politica politicizzi anche lo smart working nella Pubblica amministrazione (Pa), proviamo a fare il punto. Premetto: sono d’accordo con Renato Brunetta. Il pubblico impiego dovrebbe tornare al lavoro in ufficio. Non perché così suggeriscono molte grandi organizzazioni private (da Google in giù, o in su), non perché così si esprimono molti lavoratori – pubblici e privati – stanchi di trascinarsi tra la cucina e il salotto di casa (quando c’è), mentre la retorica di pochissimi colletti bianchi favoleggia di lavoro smaltito in libertà sulla spiaggia di Malibu o delle Canarie.

Il lavoro della Pubblica amministrazione dovrebbe tornare in presenza, in ufficio, come sollecita il ministro Brunetta per almeno cinque buone ragioni.

La prima: non era smart working, ma solo lavoro da remoto, lavoro da casa, con tutti i disagi personali di cui si è scritto. È stata una scelta di emergenza che prevedeva innanzitutto il distanziamento sociale.

In secondo luogo, nessuno, nel frattempo, ha progettato una sostanziale riforma organizzativa del lavoro nella Pa (nelle Pa), sempre divisa in compartimenti senza comunicazione, in camere stagne non dialoganti, né per via informatica, né in via operativa.

Terza ragione: la ricaduta sui cittadini, a prescindere dall’impegno dei singoli dipendenti pubblici, è stata certamente negativa. Alle solite difficoltà di interfaccia (allo sportello, al telefono, via mail quando c’è e viene utilizzata) si sono aggiunte quelle della remotizzazione, della mancata fisicità, della difficoltà di intercettare il funzionario o il dirigente – dell’Inps o del Catasto, del Comune o dell’Asl – in grado di ascoltare e risolvere i problemi dei cittadini.

C’è una quarta buona ragione per tornare in ufficio, almeno nella Pa: la possibilità di progettare, a bocce ferme, senza l’handicap di un disagio o di una precarietà temporale, la possibilità di evolvere alcune funzioni della Pa in modalità remota. Non sarà per tutti così: non solo per il portiere o per l’archivista (la carta ha ancora tanta parte nella vita delle Amministrazioni), ma anche per chi fa front-office o back-office. Il contatto con il cittadino cliente è ineliminabile. Anche le aziende private che avevano fatto della remotizzazione il loro cavallo di battaglia si sono adeguate a ricreare dei punti fisici di contatto con la clientela. Ma certo alcune funzioni possono essere svolte da remoto, bisogna definirle, organizzarle, dotarle di strumenti e di connessioni.

Il quinto buon motivo per tornare in ufficio è – come dicevamo all’inizio – quello di anticipare il solito e inopportuno gioco dei partiti schierati a favore o contro, in questo caso il tema “divisivo” sarebbe il ritorno in ufficio. Politicizzare (o sindacalizzare) tutto è deleterio. Evitiamo di cadere nella trappola. E lavoriamo, in presenza per cambiare quello che si può cambiare, senza emettere fatwe o senza evocare ideologiche visioni che Gaber avrebbe liquidato così: lo smart working è di sinistra? E il lavoro in ufficio è di destra? Ma cos’è la destra? Cos’è la sinistra?

Il ministro Brunetta, che di pubblico impiego e di economia se ne intende ci dice anche che con il ritorno in ufficio dei lavoratori del pubblico impiego ne trarrà beneficio anche il Pil. Ci crediamo. Non solo per lo snellimento delle pratiche del bonus 110%, ma anche perché nella stragrande maggioranza dei casi di persona ci si capisce prima e meglio. Inutile negare che la Pa – in attesa della riforma sulla semplificazione – non sia il luogo della chiarezza e dell’univocità. Lo “sportello” riveste un ruolo essenziale.

Senza dimenticare che il lavoro da casa dei dipendenti pubblici è condizionato dalle ancora inadeguate infrastrutture tecnologiche e informatiche in gran parte del Paese. Inadeguatezza che si ripercuote sulla loro qualità del lavoro e quindi sulla loro efficienza. E sull’efficacia richiesta dai cittadini, che – è appena il caso di ricordarlo – sono i clienti della Pa. E hanno il diritto di ricevere il migliore servizio possibile. E in presenza, a tutt’oggi, è certamente meglio che da remoto.

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