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SANITA’ REGIONALE AL CAPOLINEA? E FORSE E’ IL TEMPO DELL’OPTING OUT…

Sanità regionale al capolinea? E forse è il tempo dell'opting out

Una delle eredità più ingombranti che ci lascerà la pandemia da Covid-19 riguarda la necessità di rimettere mano al Sistema sanitario nazionale (Ssn). Abbiamo toccato con mano che la stagione dei “compiti a casa” ha provocato più danni che benefici. Quando si è deciso di tagliare non si è fatta distinzione tra spesa improduttiva e spesa essenziale e si è finito per ridurre la spesa sanitaria italiana al più basso livello della Ue.

Nel 2001 la spesa sanitaria italiana era pari al 7 per cento del PIL. Nel 2019 – dopo la crisi economica degli anni 2008-2013, ma dopo anche la lenta ripresa che ne è seguita – questa percentuale è scesa al 6,6 per cento: una riduzione dello 0,4 per cento. La spesa sanitaria italiana, inoltre, è bassa se messa a confronto con quella degli altri grandi paesi europei. Contando anche la spesa privata (che pesa per circa 40 miliardi aggiuntivi ai circa 115 del Ssn) si arriva all’8,9 per cento del PIL italiano, una percentuale decisamente più bassa di quella francese (11,5 per cento del PIL) e tedesca (11,1 per cento del PIL), 

Il “new normal” riporta a galla tutte le scelte mancate oltre a quelle sbagliate. In questi mesi si sono levate molte voci critiche sulla regionalizzazione della sanità. Da Walter Ricciardi a Luca Pani. Proprio l’ex direttore generale dell’Aifa (Agenzia italiana del farmaco) in una recente intervista a Fortune Italia sostiene che “ci saranno sempre disuguaglianze regionali su tutti gli indicatori e tutte le statistiche, l’unica via è la riforma del titolo V una volta e per sempre, una necessità che è sotto gli occhi di tutti. Io francamente non so che cos’altro serva dopo una pandemia che ha fatto quasi 80.000 morti in tutta Italia per far capire che bisogna avere il coraggio di rivoluzionare tutto il Sistema di Governo del territorio quando si tratta di tutelare la salute, e forse non solo in questo caso”.

La sensazione di un fallimento della regionalizzazione della sanità a volte viene smentita: c’è chi sostiene che la cattiva performance della Francia all’inizio della campagna vaccinale sia dovuta proprio alla centralizzazione del sistema. Così come invece la scaltrezza tedesca nell’acquisire le maggiori dosi di vaccino si fonda su una regionalizzazione che ha fatto vedere i Lander come piccoli stati quasi indipendenti agli occhi “ben orientati” di Bruxelles.

In Italia, a onor del vero, lo Stato non sembra offrire capacità organizzative di molto migliori a quelle delle Regioni. Basterebbe vedere gli effetti dei commissariamenti. La Calabria è commissariata da anni, quindi non ha più alcuna autonomia regionale sul fronte sanitario e non pare che brilli per efficienza.  

La lunga querelle sui costi standard, che impegnò per mesi la politica nazionale, sembra essere arrivata a un punto morto. Peraltro l’idea stessa di individuare una “media” (tra il costo più basso e quello più alto) sembrava una soluzione molto all’italiana, per autorizzare i peggiori a fare un po’ di spreco. Non troppo, solo un po’.

Oggi l’attenzione si è spostata spasmodicamente sugli investimenti nell’orizzonte della telemedicina. Ed è giusto. La parola d’ordine “territorialità” viene ormai integrata con un’altra: “domiciliarità”. La cura ospedaliera a domicilio, non solo sul territorio. Il necessario contributo privato in questa integrazione sembra solo sopportato, non favorito. In questo mancato equilibrio di mix sanitario pubblico-privato si costringe a creare sovrapposizione nelle coperture e nelle prestazioni che fanno male ai conti (pubblici e privati) e ai pazienti. Ma forse sarebbe il tempo di sottrarsi alle ideologie e di affrontare senza pregiudizi anche soluzioni shock per l’Italia, ma praticate altrove, come in Germania. Penso all’opting out (la clausola di esenzione, insomma, chiamarsi fuori dal sistema sanitario). Il Ssn forse non deve essere più uguale per tutti. Chi può dovrebbe pagarselo, almeno un po’.