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Il vero pericolo per il Pnrr è la burocrazia, non il voto

Il debito pubblico italiano ha toccato a giugno un nuovo record, registrando un aumento di 11,2 miliardi rispetto al mese precedente, per un totale di 2.766,4 miliardi. Debito buono o cattivo? Molto dipenderà dalla capacità di attuazione del Pnrr (il Piano nazionale di ripresa e di resilienza), che comunque – se anche andasse tutto bene – non potrà che determinare un uteriore aumento del debito. I soldi del Pnrr sono solo in piccola parte a fondo perduto.

Abbiamo già incassato quasi 46 miliardi di euro, ne avremo 21 per aver centrato gli obiettivi del primo semestre 2022, altri 19 se faremo bene i compiti da qui a fine anno. Poi ce ne toccano, fino al 2026, ancora quasi 125 miliardi di euro. Il nuovo Parlamento e il Governo che verrà si pongono frammezzo alla nuova tranche del Pnrr. Per avere questi 19 miliardi bisogna centrare 55 obiettivi entro fine anno: dalla riforma del processo penale, civile, fallimentare, alla digitalizzazione della pubblica amministrazione e del sistema ospedaliero.

Insomma, se tutto andasse bene avremo un debito (buono?) in sensibile aumento. Ma potrebbe anche non andare tutto bene, cioè il Pnrr potrebbe avere qualche rallentamento. Un richiamo è arrivato poco meno di un mese fa dai magistrati della Corte dei Conti che hanno passato in rassegna tutti gli interventi del primo semestre 2022. A fronte di una «reazione positiva» delle amministrazioni centrali, restano «difficoltà notevoli nella capacità di spesa delle singole amministrazioni». Soprattutto quelle locali. E per i magistrati contabili ciò dimostra che «una maggiore disponibilità e un maggior impiego di risorse non corrispondono automaticamente a reali capacità di sviluppo». 

La relazione della Corte dei conti è arrivata a poca distanza dall’allarme lanciato dalla Svimez sui tempi di realizzazione degli enti locali del Sud: «Se gli enti locali del Mezzogiorno non dovessero invertire il trend e rendere più efficiente la macchina burocratica – rileva l’istituto di ricerca – avrebbero dei tempi estremamente stretti per portare a conclusione le opere nel rispetto del termine ultimo di rendicontazione fissato per il 2026». La Svimez calcola che nel Sud gli enti locali impiegano in media 450 giorni in più per realizzare le infrastrutture del Pnrr rispetto al Centro Nord.

Il Governo Draghi ci lascia in eredità un Piano “bellissimo” ma con molti punti interrogativi. Il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, nei giorni scorsi ha gettato acqua sul fuoco, con una buona dose di ragionevolezza, più per rassicurare i mercati di fronte a un crescendo dei toni della campagna elettorale in corso: Visco ha detto di essere ottimista sulle prospettive, indipendentemente da chi andrà al governo dopo le elezioni del 25 settembre: «Penso che rispetteremo i requisiti». Insomma, che vinca il centro-destra o la sinistra secondo Visco il binario su cui procede il Pnrr è stabilito. Ne siamo sicuri?

Dal canto suo il Governo dimissionario ha deciso di intervenire, approvando un decreto legge finalizzato ad accelerare i giudizi davanti ai tribunali amministrativi onde non mancare gli obiettivi del Pnrr. «Lo scopo è rendere i procedimenti che si svolgono davanti al Tar e al Consiglio di Stato più rapidi e compatibili con il rispetto degli obiettivi del Pnrr», spiega in una nota Palazzo Chigi. Una conferma che il rischio di frenata non è teorico. Basterà un decreto per vincere le resistenze di una burocrazia cattiva contro cui di fatto pochi possono o vogliono combattere? Il numero dei parlamentari diminuirà, ma non il numero dei soggetti pubblici titolati a intervenire e sovrapporsi sui processi di riforma del Paese.

Fonte: Libero Economia