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LA MONTAGNA (SCI E NON SOLO) DIMENTICATA NEL FUTURO DEL PAESE

LA MONTAGNA (SCI E NON SOLO) DIMENTICATA NEL FUTURO DEL PAESE

Ci voleva la terza bozza del Recovery Plan per vedere le risorse destinate al turismo (in una voce peraltro comprensiva con la cultura: strana associazione di due cose ottime – turismo e cultura – ma non per forza assimilabili) arrivare a 8 miliardi sui 209 disponibili in teoria. Comunque briciole per quella che sarebbe la prima “industry” del Paese per fatturato e occupazione. Nel 2019 il turismo in Italia ha fatto registrare 131,4 milioni di arrivi, 436,7 milioni di presenze e una crescita del 2,6% sull’anno precedente, arrivando a occupare circa 4,2 milioni di persone. Un segmento dell’economia nazionale che pesava per circa il 13% del Prodotto interno lordo, secondo i dati Enit.

C’è una cecità che continua e che rende le nostre località turistiche – prima ancora della ferita del Covid-19 – destinate a vivere a mezzo servizio, con stagionalità risibili rispetto alle loro potenzialità. Questo vale per il mare (la Sicilia non ha nulla da invidiare, e non solo climaticamente, alla Florida, ma in Florida c’è turismo tutto l’anno, in Sicilia solo nei mesi estivi e poco più) così come per la montagna. Anzi, forse per la montagna è anche peggio.

C’è un problema di infrastrutture che resta irrisolto. Quando si tornerà a viaggiare – e di certo si tornerà a viaggiare – continuerà a essere più facile andare in Andalusia che in Calabria. Così come in montagna sarà più facile raggiungere Zermatt che Cortina. Infrastrutture di trasporto vecchie di cent’anni, che solo nelle province e regioni autonome (Trentino, Alto Adige, Valle d’Aosta) riescono a migliorare, grazie a un malinteso federalismo che crea differenziali di risorse incolmabili. E poi c’è un problema di cultura del servizio (e dell’impresa) che a stento si afferma con criteri di competitività. Tolta l’offerta di lusso, ormai il turista (prima della sua scomparsa per causa del Covid-19) è abituato a pretendere molto pagando il giusto, che spesso diventa poco.

A Roma si muove facilmente solo il turista che può permettersi gli Ncc (Noleggio auto con conducente). Chi si affida agli autobus non è in condizione di pianificare una giornata di vacanza con tempi certi.

Ma tornando alla montagna credo che il nostro Paese abbia bisogno di un piano specifico, sia per la montagna “ricca” delle Alpi – dove gli operatori si sono spesso seduti su montagne di denaro, talvolta evitando la sfida del rischio d’impresa – sia per quella “povera” degli Appennini. Il nostro è un Paese in salita e richiede un’attenzione non solo ai litorali. Qualche anno fa il Censis ci ha offerto un’analisi dell’economia della montagna. Nelle aree montane si producono 235 miliardi di euro di valore aggiunto, il 16,3% della ricchezza nazionale. E la qualità dell’ambiente in queste aree resta altissima, visto che si consuma solo il 2,7% di suolo contro il 9,7% dei comuni non montani. In Italia il territorio di montagna rappresenta complessivamente il 54,3% della superficie nazionale, dove vivono circa 11 milioni di abitanti, il 17,9% della popolazione.

Il “dopo-Covid” ha anche fatto sfumare l’idea delle megalopoli. Il distanziamento ha suggerito a molti l’idea di un ritorno a una territorialità che fino a qualche anno fa avremmo definito “periferica”. Le montagne sono le periferie nobili del nostro Paese. E rappresentano una parte del futuro, non solo di un passato remoto. Ma richiedono attenzioni e investimenti, non solo per poter tornare a godere delle piste da sci. In qualche piccolo Comune italiano è nata l’idea di sfruttare la fiscalità di vantaggio introdotta nel nostro Paese per “attrarre” pensionati dall’estero, vista l’attrattività esercitata da altri Paesi (europei e non solo) per i nostri ultrasessantenni.

La montagna potrebbe essere anche questo: non solo un luogo di lunga stagionalità turistica ma di nuova e conveniente residenza. C’è molto da fare per l’economia nazionale. A condizione di progettare e programmare un futuro che sia più lungo di qualche mese. I tempi della politica molto spesso non sono quelli dello sviluppo del Paese.