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L’Inps messa alla gogna dai furbetti dei sussidi

L’Inps è la più grande Amministrazione pubblica d’Europa. Il polmone del welfare del Paese. Poche migliaia di donne e uomini servono più o meno 40 milioni di cittadini, per le prestazioni più diverse, dalle pensioni alla cassa integrazione, dai bonus bebé all’invalidità civile. Non una macchina perfetta, ma – almeno nei ricordi di quando l’ho lasciata ormai otto anni fa – una macchina efficiente, con tutte le criticità di chi si trova ad avere come clienti due terzi della popolazione italiana.

Spiace vedere associato il marchio dell’Istituto alle gesta fraudolente di chi si approfitta di qualche maglia larga per lucrare prestazioni non dovute. Da due anni a questa parte lo stillicidio delle truffe sul reddito di cittadinanza (Rdc) ha associato l’Inps alle indagini delle forze dell’ordine per scovare i “furbetti” che hanno indebitamente incassato il Rdc.

Ogni giorno ce n’è una. Solo lo scorso aprile l’Arma dei Carabinieri aveva reso noto che dal primo gennaio 2021 a febbraio 2022 oltre cinque milioni di euro “sono finiti nelle tasche di persone che hanno percepito indebitamente il reddito di cittadinanza”. Ma non è la fetta più grande tra gli illeciti. La Guardia di Finanza, dal canto suo, lo scorso giugno, ha indicato che tra il 1° gennaio 2021 e il 31 maggio 2022, ha scoperto truffe relative al reddito di cittadinanza per un valore pari a 288 milioni di euro, di cui “171 milioni indebitamente percepiti e 117 milioni fraudolentemente richiesti e non ancora riscossi”.

In molti casi l’Inps si è fatta parte attiva e collaborativa nell’individuazione delle truffe. Anche se poi, come abbiamo appreso dalla stampa, l’Avvocatura dell’Istituto ha dissuaso le direzioni regionali dalla costituzione di parte civile nei processi contro i “furbetti”, a meno che le truffe (e i truffatori) non rappresentassero una “oggettiva rilevanza quantitativa o mediatica”. La comunicazione non è stata felice, né nella forma, né nella sostanza, sottraendo l’Inps dal ruolo istituzionale che riveste.

A prescindere dalle responsabilità – da qualcuno invocate e respinte dal vertice dell’Istituto – sul comportamento lasco al momento dell’erogazione della prestazione, la volontà di recuperare denaro e reputazione sembra irrinunciabile. Sul primo versante, quello del denaro (erogato senza adeguati controlli e non inseguito nel suo doveroso recupero) dovrebbe pensarci la Corte dei Conti, che ha magistrati delegati al controllo in ogni Pubblica Amministrazione, per verificare gli eventuali danni erariali e le relative responsabilità.

Sul versante della reputazione credo che il Paese abbia bisogno di non avere dubbi sui comportamenti virtuosi (così come sono nella stragrande maggioranza dei casi) nella “cassaforte delle pensioni”. Molto si è detto e qualcosa si è fatto sull’informazione del proprio conto previdenziale (busta arancione e dintorni). Sarebbe un peccato che la trasparenza sui processi amministrativi venisse offuscata da comportamenti reticenti e omissivi riguardanti una singola prestazione di tanto impatto politico e sociale.

Sarebbe un peccato non contrastare la ripetuta associazione del marchio dell’Inps con le truffe sul Rdc e con una gestione non sempre rigorosa delle ricadute delle erogazioni indebite, ritenute “usualmente poco rilevanti“(nel linguaggio del comunicato dell’Avvocatura Inps) e quindi non meritevoli di un caparbio recupero delle somme. Si potrebbe finire per rinverdire il dubbio che tormenta tanti italiani, specialmente i più giovani: “Ma io avrò una pensione?”. I vasi non sono comunicanti, per fortuna. Ma non tutti sono tenuti a saperlo. Per tutte le Amministrazioni pubbliche vale quello che vale per chi fa politica: si deve essere come la moglie di Cesare, al di sopra di ogni possibile (e anche ingiusto) sospetto.

Fonte: Libero Economia