Go to the top

Grandi opere: volendo, si può

Ci son voluti i 43 morti del ponte Morandi, a Genova, per dimostrare che una grande infrastruttura in Italia si progetta e si costruisce in un anno e mezzo. Basta mettere in fila tre date: il 14 agosto 2018 crolla il ponte; il 15 aprile 2019 si posa il primo pilone del nuovo viadotto progettato da Renzo Piano; il 3 agosto 2020, l’inaugurazione del nuovo collegamento di Genova.

Volendo, si può. A volte si preferisce guardare al passato. Nel 1964 si inaugura a Milano la prima linea della metropolitana, la “linea rossa”: sette anni dalla progettazione avvenuta nel 1957. Lo stesso anno, 1964, si inaugura l’Autostrada del Sole, dopo otto anni di lavori. Un tracciato da Nord a Sud di 755 chilometri che ha unito l’Italia, dalle nebbie di Milano fino a Napoli, collegando Bologna, Firenze e Roma. Due esempi, tra i tanti, di quanto si sia potuto fare, con tecnologie e mezzi del tutto diversi da quelli oggi disponibili, per dotare il Paese, o almeno una parte di esso, di infrastrutture che ne hanno cambiato il volto e la fruizione.

In verità poi molto è cambiato. Nel 1995 la rete autostradale italiana contava 6.435 km, ma tra il 1995 e il 2022 sono stati aggiunti solo 1.123 km (+17,5%), potendo così oggi percorrere nel nostro Paese 7.558 km di autostrade. In particolare, tra le regioni, l’Umbria, il Molise e la Basilicata si caratterizzano per la minor presenza di autostrade e la Sardegna ne è addirittura ancora sprovvista. La Spagna nel 1995 contava su una rete autostradale modesta (6.962 km), più o meno come l’Italia, ma ha raggiunto ad oggi 15.856 km, +127,8% rispetto al 1995. Più del doppio di quella italiana.

I miracoli nel passato sono avvenuti. Ma anche il presente ci conferma che si può. Anche in Italia, se si vuole. L’esempio di Genova è tuttavia una rarità. Eppure, basta bypassare quel filo spinato di norme, di impedimenti formali, di attese di autorizzazioni, di burocrazia allo sbaraglio e di instancabile ascolto di ogni soggetto, anche se non titolato a intervenire. Quando non si intromette un soggetto intermedio, istituzionale o sociale, basta una protesta, più o meno veemente. E tutto si ferma, per anni.

Non sono mai mancati i soldi, solo la capacità di spendere nel lasso di tempo previsto. La metro C di Roma sembra risorta – vedremo che cosa accadrà alla fine – solo perché l’anno prossimo c’è il Giubileo: nessun impedimento effettivo l’aveva fatta insabbiare per anni. E solo una scadenza “esterna” – appunto, l’Anno Santo – la rende di nuovo praticabile.

Misteri del Bel Paese, dove i progetti più belli e utili finiscono per anni nei cassetti. Al punto da dover essere “definanziati”. È quanto è accaduto a circa 500 progetti infrastrutturali, che il Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile (Cipess) poche settimane fa ha deciso di cancellare, togliendo il finanziamento dedicato, perché hanno accumulato un ritardo eccessivo, “non hanno raggiunto gli impegni di spesa giuridicamente vincolanti”, come prevedono due decreti del 2019 e del 2022. Complessivamente, le risorse “cancellate” nella seduta del Cipess del 29 novembre, ammontano a 7 miliardi di euro.

C’è il nodo ferroviario Bari-Bari Nord che vale 608 milioni di euro, la “seconda macrofase della ferrovia Catania-Palermo” (408 milioni), il collegamento tra la stazione di Afragola e la metropolitana di Napoli, la connessione tra l’autostrada A2 e la Statale 18 ad Agropoli, in provincia di Salerno (circa 350 milioni ciascuno). Sono i progetti più grandi, in termini di risorse, tra le centinaia che il Cipess ha deciso di definanziare.

Proprio le infrastrutture del trasporto continuano a essere deficitarie. In Italia, fin dal 1995, la quota di investimenti nei trasporti sul PIL risultava inferiore agli altri paesi, ma nel periodo 2007-2013, caratterizzato da una persistente recessione, la quota di spesa pubblica destinata agli investimenti nei trasporti si è ridotta progressivamente, scendendo nel 2013 ad un minimo dello 0,7% sul PIL. Negli ultimi anni, la quota di investimenti in trasporti nel nostro Paese è aumentata, rimanendo tuttavia nel 2023 ancora inferiore all’1,5% del PIL. Gli altri paesi, invece, investono più risorse nelle infrastrutture di trasporto: nel 2023, Francia e Spagna destinano l’1,7% del PIL ad investimenti nei trasporti; la Germania investe nel settore il 2,1% del proprio PIL. 

Secondo la proposta inviata al Cipess a fine novembre scorso, circa 4 miliardi riguardano progetti infrastrutturali finanziati dal Fondo sviluppo e coesione (Fsc) 21-27, di competenza del ministero delle Infrastrutture e dei trasporti (Mit). A questi se ne aggiungono altri 380 circa per un valore complessivo di 2,95 miliardi relativi al Fsc 14-20. Completano il quadro altri 54 milioni di euro destinati ad una novantina di progetti di riqualificazione urbana e impianti sportivi il cui importo massimo non supera i 700mila euro.

Si individuano altri interventi di importo rilevante a cui il Cipess ha cancellato i finanziamenti. È il caso del “secondo tronco dell’autostrada Siracusa-Gela Rosolini-Ragusa e il lotto 9 Scicli” (350 milioni di euro) o le “opere complementari alla Roma-Latina” da 155 milioni

Se il sistema dei trasporti è quello più deficitario si assiste anche al definanziamento di infrastrutture persino più essenziali, se si può dire così. In Sicilia sono stati cancellati i fondi per ben 13 interventi nel settore idrico, come la manutenzione straordinaria della diga Sciaguana, per 26 milioni, o i “primi interventi di stabilizzazione della spalla sinistra idraulica della diga Rossella e del relativo versante per aumento in sicurezza della quota invaso” per 11,5 milioni. Lavori, dunque, che dovranno essere rifinanziati o non si faranno. Cose che a dirsi, e a leggersi in rapporti ufficiali, possono creare sconforto in chi per mesi ha dovuto sopportare gli effetti di una siccità che potrebbe essere vinta, se si facessero i lavori previsti. A Trapani, infatti, anche i 10 milioni destinati al “progetto esecutivo per l’ammodernamento di parte della rete di distribuzione dell’acqua potabile nella città di Trapani” sono stati cancellati.

Fonte: Il Riformista