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Cosa dimentica chi mugugna contro l’Europa. La versione di Mastrapasqua

L’Unione, anche se avviluppata in un presente non brillante è il nostro nuovo spazio domestico. Non basta la rappresentazione che ne diamo, ma abbiamo bisogno di misurarne tutta la forza reale, nel bene e nel male. Per questo la campagna elettorale verso l’8 e il 9 giugno dovrebbe sottrarsi alla politica politicante e dedicarsi a tracciare i contorni concreti della visione d’Europa che vorremmo

L’economia italiana dipende sempre più dall’Ue. Non da oggi: il vincolo europeo comunitario guida da anni la politica del nostro Paese. Dai tempi dei tagli delle spese pubbliche si è passati ai più recenti negoziati sul Pnrr, per spendere di più e prima, con l’annessa condizione di valutare le riforme richieste per poter ottenere l’erogazione degli aiuti post-Covid. Ma la dipendenza dall’Europa è anche normativa; così come la misuriamo nel peso della legislazione nazionale che è debitrice per il 59% dalle indicazioni europee, almeno per quanto riguarda i decreti legislativi.

E quando non ci adeguiamo ai regolamenti o alle direttive Ue dobbiamo contabilizzare un contenzioso che pesa per quasi 100 milioni all’anno di multe per le infrazioni e 74 procedure ancora aperte, in cui l’Italia è sotto accusa per non essersi adeguata al diritto europeo. Insomma, non è difficile comprendere quanto dipendiamo dall’Europa e quanto poco, evidentemente, riusciamo a far valere i nostri interessi. Economici e non solo. La politica dell’Unione dovrebbe essere forgiata nelle aule dell’Europarlamento. E le scelte del governo della Commissione Ue dovrebbero nascere dalle capacità degli europarlamentari.

Oppure l’Europa di cui ci lamentiamo è un invadente ectoplasma burocratico, che vive di una vita propria, indipendente dalla politica? Gli euroburocrati non saranno peggio dei burocrati di casa nostra. E sappiamo quanto il potere dei nostri dipenda dalla debolezza (e incompetenza) dei nostri politici. Sperare in un dibattito sui programmi è una pia illusione, così come quando lo invochiamo per i problemi della nostra Italia? Dell’Europa ci lamentiamo spesso. E spesso a ragione.

L’Europa vista dal bassopiano germanico-polacco non somiglia a quella delle Alpi, degli Appennini e del Mediterraneo. Lo stiamo vedendo da mesi quanti pasticci ha fatto la politica agricola vista con gli occhi degli euroburocrati di Bruxelles. Ma ci lamentiamo anche degli eccessi di un ambientalismo miope che mette l’Europa all’avanguardia dei progetti di decarbonizzazione, dimenticando che la concorrenza internazionale si fa con Cina e Stati Uniti che hanno un margine di tolleranza infinito sulle emissioni d Co2.

Ma è curioso che il legittimo mugugno – che poi riguarda anche l’assenza di una politica di difesa, o una regolamentazione della concorrenza quasi sempre a vantaggio di Parigi e Berlino, o una strutturale carenza di normativa che regoli la gestione economica e umanitaria dei fenomeni migratori – non produca un dibattito di qualità sui programmi cui si pensa di vincolare la pattuglia dei nuovi europarlamentari. E non agita il dibattito elettorale nemmeno il tasso di legittimo interesse nazionale che dovremmo sperare che venga rappresentato a Bruxelles e a Strasburgo dai parlamentari italiani nella Ue, a fronte di un sagace e consolidato approccio nordista (e parliamo di Europa, non d’Italia) che emargina da anni le esigenze di quel Sud Europa di cui facciamo parte.
Si avvicina l’ennesima campagna elettorale.

Oltre alle consultazioni amministrative, il vero test, anche in Italia, riguarda le elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo. Se ne parla sempre più spesso, parossisticamente. Ma solo per anticipare i nomi dei candidati presenti in lista. Non ci si sofferma su competenze specifiche e nemmeno sulla comprovata conoscenza delle lingue che è un deficit storico degli italiani, che diventa gravissimo quando la lingua straniera si usa per temi specialistici e burocratici e sembra bastare la notorietà, comunque raggiunta dal potenziale candidato.

Eppure, l’Europa, anche se avviluppata in un presente non brillante, né economicamente, né socialmente, è il nostro nuovo spazio domestico. Non basta la rappresentazione che ne diamo, ma abbiamo bisogno di misurarne tutta la forza reale, nel bene e nel male. Quando la tv ci mostra le immagini dei politici nazionali che si trovano ai vertici europei è tutto una serie di baci e abbracci, sorrisi e pacche sulle spalle.

E quando si torna da Bruxelles è solo un canto di vittoria, per quanto abbiamo saputo piegare l’Europa alle nostre richieste. Salvo poi scatenare la polemica contro le scelte sbagliate o mancate. Ma chi ci sta seduto negli scranni dell’Europarlamento? Quanti sanno leggere i documenti? Quanto sapranno influire nei dossier che diventeranno regolamenti, direttive e decisioni? La campagna elettorale verso l’8 e il 9 giugno dovrebbe sottrarsi alla politica politicante e dedicarsi a tracciare i contorni concreti della visione d’Europa che vorremmo.

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